domenica 21 giugno 2020

Ornette Coleman, "padre" del movimento free jazz

Sunday = jazz day

Oggi: il fantastico viaggio di Ornette Coleman

(dal blog Topolàin)



Quando morì nel 2012 stroncato da un infarto, gli "obituary" giustamente parlavano di un musicista che aveva cambiato, insieme ad alcuni accoliti, il modo di fare jazz - e non solo jazz. Ornette Coleman fu, con Coltrane, Charlie Mingus, Charlie Parker, e Miles Davis, l'uomo che "mutò le regole", e il cui nome viene spesso citato quando si tratta di sfogliare una raccolta di canzoni à la Nora Jones o di cercare i limiti, gli spigoli, gli angoli più estremi del pentagramma. Decisivo soprattutto il suo capolavoro The Shape Of Jazz To Come (1959).




Questo sassofonista, trombettista, violinista e compositore possedeva una propria cifra stilistica, nonché un proprio timbro, che lo rendevano riconoscibilissimo. Nato nel 1930 in Texas, rese fin da subito il bebop la sua religione, anche se l'approccio che aveva agli accordi e alle strutture melodiche fu meno rigido di quello di altri adepti del genere. Il suo suono era rozzo, a volte stridulo, tanto che non di rado veniva paradossalmente rimproverato di "uscire dal coro", di "non attenersi alla struttura".



Già nel '58 il suo primo album: Something Else!!!!: The Music of Ornette Coleman.

The Shape Of Jazz To Come, dell'anno seguente, secondo il critico Steve Huey rappresentò "uno spartiacque nell'ottica della nascita del jazz d'avanguardia, un album che già indica la via futura".
Sebbene orientate al blues - per quanto liberamente - e spesso alquanto melodiche, le composizioni di Something Else!!!! vennero allora considerate insolite per le loro armonie, nonché (ancora!) "senza una vera e propria struttura". Lo stesso accadde un po' per The Shape Of Jazz To Come, anche se l'attenzione era intanto accresciuta: tutti erano concordi nell'affermare che stava per accadere - o meglio era già accaduta - qualcosa di nuovo, di rivoluzionario.
Alcuni colleghi musicisti e alcuni critici considerarono Coleman un iconoclasta, mentre altri (in primis: Leonard Bernstein e Virgil Thompson) riconobbero in lui il genio, l'innovatore.

 
                                  Cresciuto in povertà e in un ambiente razzista, fu accanito autodidatta

Nel 1960 era la volta di Free Jazz: A Collective Improvisation, registrato insieme a un doppio quartetto:

Eric Dolphy (clarinetto basso), Don Cherry (tromba), Freddie Hubbard (tromba), Scott LaFaro (basso), Charlie Haden (basso), Billy Higgins (batteria) e Ed Blackwell (batteria). 

La risonanza fu grande. L'album segna l'inizio del jazz d'avanguardia atonale, anche se l'"improvvisazione collettiva" si rifà agli inizi della musica jazz a New Orleans.


Basandosi sul free jazz, Ornette Coleman svilupperà - soprattutto a partire dal 1970 - il suo sistema della "armolodia" ("Harmolodics"), dove, al contrario della musica modale, si improvvisa sulle serie lineari degli intervalli.
Da lì al free funk e ai ritmi rock con atmosfere spaziali il passo fu breve. 
Il suo album Dancing In Your Head, registrato tra l'altro con i Master Musicians of Jajouka (Marocco), fu inserito - tra le altre - nella lista di The Wire dei "100 Records That Set the World on Fire (While No One Was Listening)" (100 album che misero il mondo a ferro e fuoco [mentre nessuno stava ad ascoltare])




Dancing In Your Head fu un altro punto nodale della sua carriera e della sua crescita professionale. Crescita mai arrestatasi: basti pensare che volle imparare a suonare violino e tromba, e che dai primi Anni Sessanta compose musica da camera; che stabilì un suo quartetto fisso - dal nome Prime Time - e che continuò a suonare con un proprio quartetto "classico" (comprendente piano, basso e batteria), nonché, più tardi, in un duo composto da sassofono e piano (insieme a Joachim Kühn o a Geri Allen).




Per Sound Grammar (2006), registrazione dal vivo effettuata in Germania durante un festival jazz, in una formazione affatto solita (con due bassisti e un percussionista), vinse anche il premio Pulitzer per la musica.
Partecipò tra l'altro ai dischi Yoko Ono/Plastic Ono Band (di Yoko Ono, 1970) e The Raven (di e con Lou Reed e tutta una pletora di musicisti, 2003). 




Disse di lui il critico Howard Mandel: "Ornette didn't play free jazz, what he did was he freed jazz"

E Roy Eldrige dichiarò drasticamente nel 1961 sulla rivista Esquire: "L'ho ascoltato in ogni situazione: da ubriaco, da sobrio... Ho persino suonato con lui. Io penso che ci stia prendendo in giro!"




Links di approfondimento:

"R.I.P. Ornette Coleman, who confounded most people and humbled us all"

"Ornette Coleman" (obituary by Tom Hull, with discography and links)

"Why was Ornette Coleman so important?" (Los Angeles Times)


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    Classica à la Ornette: Skies of America (al Verona Jazz Festival del 1987)

venerdì 19 giugno 2020

Lee Morgan - 'Cornbread'

Abbiamo già parlato di questo suonatore di tromba e compositore morto purtroppo in circostanze drammatiche a soli 33 anni. Sulla homepage della Blue Note, fucina del jazz a cui lui Lee Morgan fu legato a doppia mandata, c'è un interessante articolo circa l'album Cornbread (1965).

 

Il successo riscontrato da Lee Morgan con il brano soul-jazz "The Sidewinder", fece sì che molti artisti cercassero di imitare o comunque duplicare quell'impresa proponendo brani di stampo boogaloo (fusione di musica latina, twist e rhythm’n’blues). La carriera di Morgan acquistò in velocità. Nei due anni successivi al sunnominato hit, il musicista realizzò altri 6 album - e, alla fine, sul suo conto saranno ben 25 gli LP totali per l'etichetta Blue Note... fino al momento della tragica, prematura morte (1972).



Cornbread, registrato nel settembre del 1965, vede il batterista Billy Higgins come unico rappresentante dei musicisti che parteciparono alla registrazione di "The Sidewinder". Morgan ingaggiò il sassofonista alto Jackie McLean (restituendogli il favore meno di una settimana dopo suonando sull'album Jackknife) nonché il sassofonista tenore Hank Mobley (Lee lavorò come sideman in molti degli album di Mobley in quel periodo). Invitò inoltre il Maestro dei Tasti Bianchi-e-Neri, Herbie Hancock (fan della Blue Note e membro del classico quintetto Anni '60 di Miles Davis). E, ad arrotondare la sezione ritmica con Higgins, ecco arrivare il bassista Lee Ridley (poi importante docente di jazz).

Cornbread comprende quattro composizioni di Lee Morgan e un "classico", o "standard" che dir si voglia. E il primo brano è quello che dà il titolo all'album. 
Il secondo, "Our Man Higgins", è un be-bop che punta i riflettori su Billy Higgins, che qui può "dare gas".  Ci sono anche due ballate rallentate ("down tempo"), tra cui una delle canzoni più conosciute del trombettista, "Ceora". Il brano "classico" è quello di Arlen-Koehler, "Ill Wind", in cui Lee mostra una vena accattivante di blues, suonando in sordina (mute).
Poi il pezzo finale: "Most Like Lee", melodia spensierata in cui i membri della band arrivano a sbizzarrirsi. Lee guida l'assalto con il "clarion" (un altro tipo di tromba, o semplicemente un registro superiore della tromba standard) e Herbie, il quale, pure, ha già potuto brillare abbastanza, assume nel capitolo conclusivo del disco il suo ruolo più creativo e più centrale, incitando in maniera suadente - quasi come un sommelier in un raduno di alcolizzati - e scatenandosi lui stesso.


Tracks

"Cornbread" – 9:03
"Our Man Higgins" – 8:54
"Ceora" – 6:23
"Ill Wind" (Harold Arlen, Ted Koehler) – 7:59
"Most Like Lee" – 6:49


Il gruppo

Lee Morgan – tromba
Herbie Hancock – piano
Billy Higgins – batteria
Jackie McLean – sax alto
Hank Mobley – sax tenore
Larry Ridley – basso



giovedì 18 giugno 2020

Lee Morgan...

... qui con Art Blakey and the Jazz Messengers

 

Il trombettista Edward Lee Morgan (1938–1972) fu una delle figure massime dell'hard bop (seconda metà degli Anni Sessanta). Ancora adolescente partecipò alla registrazione di Blue Train (John Coltrane). Poi entrò nel gruppo del batterista Art Blakey prima di iniziare la carriera solista. Fu uno dei pilastri dell'etichetta Blue Note.
Purtroppo la sua carriera, come la sua vita, fu di breve durata. Aveva 33 anni quando la sua donna, Helen, gli sparò, uccidendolo, allo Slug's Saloon, locale di jazz nello East Village (NYC). 

  "The Sidewinder", uno dei suoi titoli più noti

domenica 14 giugno 2020

Nat Adderley

Vivere all'ombra del proprio fratello



Oggi vi presentiamo un suonatore di tromba /  cornettista noto... ma non troppo: Nat Adderley, fratello del sassofonista Julian "Cannonball" Adderley e per molto tempo rimasto entro il cono d'ombra di questi. 

 Nat Adderley


Chi conosce la sua "Work Song" sa che si tratta non solo di un musicista ma anche di un compositore in gamba. "Work Song" è un "classico" del jazz moderno, uno standard, arrivato persino a entrare nella hit parade dopo che il cantante Oscar Brown Jr. vi ricamò su un testo.







Nato e morto in Florida (al contrario del fratello, che perì a soli 46 anni lontano da casa, nell'Indiana), Nat suonò, ancora ragazzo e sempre insieme a Cannonball, con Ray Charles (anche lui un prodotto della Florida), in quel di Tallahassee.
La sua aspirazione - mai sopita - era quella di insegnare, ma il fascino delle esibizioni live non lo abbandonava mai e così disse di sì a Lionel Hampton quando questi lo invitò a far parte della sua ensemble. Qualche tempo dopo, pare più per caso che altro, arrivò ad esibirsi insieme al fratello in un locale del Greenwich Village (Café Bohemia) e da quella sera per entrambi iniziarono a fioccare le offerte di lavoro. 



 I fratelli Adderley nel 1966



New York City (dove Nat avrebbe occupato un appartamento ad Harlem, sulla 112th Street) vide nel 1956 la nascita del Cannonball Adderley Quintet. Ma già nel 1957 il gruppo si sciolse, per palese mancanza di interesse da parte del pubblico. Nat passò allora a collaborare con il suonatore di trombone J.J. Johnson (pioniere del bebop) ed entrò quindi nel sestetto di Woody Herman (clarinettista, sassofonista e cantante bianco). Intanto Julian, alias Cannonball, diventava celebre suonando in un altro - oggi ritenuto ben più prestigioso - sestetto: quello di Miles David, dove, insieme a John Coltrane, partecipò alla creazione del leggendario Kind of Blue.

Al Cannonball Adderley Quintet venne data un'altra chance e il vento stavolta girò a favore della formazione cui entrambi i fratelli Adderley credevano fortemente. Presto arrivò il primo hit: "This Here", brano composto dal loro pianista, Bobby Timmons (sì, lo stesso Bobby Timmons degli Art Blakey's Jazz Messengers). 



Questo entusiasmante concerto del Cannonball Adderley Quintet (San Francisco, 1959) inizia con una versione di "This Here"



A1 "This Here" 0:00
A2 "Spontaneous Combustion" 12:27
B1 "Hi-Fly" 24:21
B2 "You Got It!" 35:29
B3 "Bohemia After Dark" 40:36


Il Cannonball Adderley Quintet viene considerato tra gli iniziatori del soul jazz. Ma rimase devoto soprattutto all'hard bop. Essendo che tutti i componenti provenivano appunto dal bebop, intendevano continuare a misurarsi nei virtuosismi richiesti da quel genere.

Negli Anni '60 Nat passò alla cornetta, divenne compositore tout court e agì anche da manager per il quintetto. Fu lui a scrivere alcune tra le canzoni più famose della band, a iniziare da "Work Song" per continuare con "Jive Samba", "Hummin'", "Sermonette" e "The Old Country".
Intanto, registrava anche con altri: Kenny Clarke, Wes Montgomery, Walter Brooker... New York pullulava di occasioni!





Nel film A Man Called Adam (1966), interpretato da Sammy Davis Junior nel ruolo di un trombettista, Nat Adderley prestò all'attore la voce della propria tromba. 
Tra gli altri suoi progetti occorre segnalare un musical che iniziò a scrivere insieme al fratello, Shout Up a Morning, basato sulle "gesta" dell'eroe popolare John Henry (un uomo che scavava buchi nella roccia affinché vi si infilasse dell'esplosivo, utile nella costruzione delle gallerie ferroviarie; una leggenda americana che sembra quasi essere uscita dal cosmo bolscevico...). Il lavoro al musical si interruppe per la morte di Cannonball (Julian Cannonball Adderley venne stroncato da un ictus).





Il tragico evento segnò ovviamente la fine del Cannonball Adderley Quintet. Nat partì di lì a poco per un tour europeo, durante il quale il nome più di spicco sul cartellone era il suo. Poi venne la volta del Giappone. Ritornò negli U.S.A., dove tenne dei corsi ad Harvard e registrò con il suo proprio quintetto, che includeva Walter Brooker (lo abbiamo incontrato poche righe piu su), Jimmy Cobb e Vincent Herring: nomi tutt'altro che sconosciuti ai cultori del jazz. 
Lavorò inoltre con Ron Carter, Sonny Fortune, Johnny Griffin e Antonio Hart.

Creò quindi l'Adderley Brotherhood, sestetto composto da membri che avevano già suonato nel Cannonball Adderley Quintett. Sempre in omaggio al consanguineo. (Leggi anche: "Nat Adderley: Brotherly Swing", articolo in inglese.)

Ora Nat aveva definitivamente un nome per sé, era uscito dall'ombra gettata dal fratello maggiore. Nondimeno, voleva continuarne il percorso artistico. L'Adderley Brotherhood andò in tournée in Europa (1980). E il musical Shout Up a Morning venne rappresentato in varie località degli Stati Uniti. 
Nat Adderley continuò ad apparire in diverse altre formazioni, tra cui la Paris Reunion Band, e fu peraltro colonna portante della Riverside Reunion Band, gruppo bop che si era formato nel 1993 al Monterey Jazz Festival e che girò per il Vecchio Continente nel 1994.



Nat aveva nel frattempo preso l'abitudine di andare in tournée per sei mesi all'anno e, per i restanti sei mesi, rimanere nella propria casa di Lakeland, in Florida (casa acquistata dopo che negli Anni Settanta aveva abitato nel New Jersey). Nel 1997 fu "artist-in-residence" al Florida Southern College, dove tra l'altro aiutò l'organizzazione del Child of the Sun Jazz Festival a trovare fondi. Il festival si svolgeva annualmente nella stessa università e vedeva Nat spesso protagonista. 
Sempre nel 1997, il suo nome fu inserito nella Jazz Hall of Fame di Kansas City.
Vivere all'ombra del proprio fratello


Morì a 68 anni per un diabete e venne sepolto accanto al fratello nel cimitero di Tallahassee.

 Nat nel 1969


Lo si ricorderà in eterno come uno dei musicisti jazz più prolifici (è presente in oltre 100 album) e come un pioniere del soul jazz. Dimostrò inoltre che la cornetta può essere utilizzata anche nel jazz moderno.






giovedì 11 giugno 2020

'A Love Supreme'

A Love Supreme venne registrato in una sola sessione il 9 dicembre 1964 ai Van Gelder Studios di Englewood Cliffs, New Jersey, e pubblicato nel gennaio 1965.

È il capolavoro della formazione costituita da "Trane" (sassofono tenore), McCoy Tyner (piano), Jimmy Garrison (basso) ed Elvin Jones (batteria). 


John Coltrane, che morì a soli 40 anni con il fegato spappolato dall'alcool e dall'eroina, incanta con la sua immortale estetica dei suoni.  Plays the Blues (1960, ma pubblicato nel 1962) e l'album sunnominato (uscito nel 1965) sono lavori che, una volta sentiti, non si riesce a mettere in disparte. E' il Coltrane della definitiva consacrazione da parte del pubblico e della critica, prima della sua ennesima rinascita sotto spoglie "new age" con Ascension e Interstellar Space (ma quello della "new age" è un vestito che gli hanno messo addosso altri).
 
 

Il disco A Love Supreme fu quello che rivoluzionò ogni cosa. Prima non c'era stato nulla del genere. Coltrane ruppe con la tradizione del jazz e spianò la strada del rock...
(Da un articolo della rivista tedesca Eclipsed)




Coltrane: una persona molto bella, dentro e fuori. Venuto dopo l'era del be-bop - uno stile dai tempi e dalla tecnica "proibitivi" -, e dunque dopo Dizzy Gillepsie e Charlie Parker, strumentisti strabilianti capaci di suonare a velocità mozzafiato e con forza inaudita.

Il be-bop non era una musica per tutte le orecchie; eppure, come quella di
Benny Goodman (sonorità "eccitanti e divertenti" che aiutarono un'intera generazione a dimenticare i tempi bui della crisi), fu ben presto assimilata da una èlite di "hipsters" e di amanti della musica "colta" e, contro tutte le previsioni, trovò un suo spazio di mercato. Un idolo avevano in comune Parker e Coltrane: Lester Young. Ma Coltrane era influenzato anche dai ritmi africani e asiatici e, quando lasciò il gruppo di Miles Davis (o ne fu licenziato), diede vita alla propria band: The John Coltrane Quartet, che dal 1961 al 1965 polarizzò l'attenzione generale con registrazioni come - appunto - Coltrane Plays the Blues e A Love Supreme.

    


Il primo è una rilettura del blues in senso modale o orizzontale. Qui, oltre al sax tenore, "Trane" suona anche l'alto, che presto però metterà da parte anche perché, secondo lui, Charlie Parker aveva già tratto da quello strumento tutto il possibile.

L'altro è trenta minuti di esaltazione e rabbia, di preghiera cristiana e delirio superumano, e giustamente ritenuto una delle opere più importanti della musica moderna (al di là di ogni categorizzazione). Il cool-jazz di marca lesteryounghiana trova la sua compiutezza negli approdi della continua ricerca di Coltrane, nella dolce ribellione dell'"allievo" John: un uomo privo di cinismo. Persino nella sua rabbia si avverte l'infinita dolcezza...

In
Coltrane Plays the Blues troviamo Steve Davis al basso, in A Love Supreme il suo sostituto Jimmy Garrison. Il resto del quartetto è, in entrambe le registrazioni, quello della formazione "storica", con Coltrane al tenorsassofono (in qualche pezzo di Plays the Blues soffia anche l'alto, come abbiamo visto), McToy Tyner ai tasti bianchi e neri e Elvin Jones alla batteria.

Coltrane Plays the Blues
comincia con il leggero swing pianistico di McToy, che apre la strada a un "Trane" a fronte finalmente serena dopo anni di deboscia: è il "Blues To Elvin", saluto e omaggio all'amico Elvin Jones (che è lì ad agitare i drum sticks). Questo pezzo d'apertura ci fa capire che stiamo per imbarcarci per un viaggio travolgente pur se - fortunatamente - atraumatico. Uno non può fare a meno di abbandonarsi alla perfetta levità con cui Coltrane supera l'esame blues. I sei titoli sono interpretati in sei diversi modi: in maniera soffice, con energia, con molta poesia... Innamorato dei contrasti, John Coltrane imbastisce su semplici frasi melodiche delle complesse improvvisazioni, per tornare poi a una linearità formale ma impreziosita da contrappunti che sono simili a gemme seminate su uno spartito invisibile (perfetta l'intesa tra McToy e Jones). E' un album che dovrebbe piacere anche a chi non è avvezzo al jazz, avantguardistico o meno.

La stessa cosa si può dire di
A Love Supreme.

Una volta che hai la tecnica nel sangue, puoi far liberamente parlare il cuore. E' un'impresa che riesce a John Coltrane in questo che è il suo output commercialmente (e non solo) più felice. Qui c'è tutto "Trane": la commistione di jazz con discipline come poesia, filosofia, sociologia e religione (quest'ultima intesa come puro slancio mistico e non come fredda scienza dottrinale).

Nel jazz - soprattutto in quello "free" - l'inventiva melodica non è un "must" (chi ha ascoltato un qualsiasi disco di
Yusuf Lateef sa quel che intendo), ma a Coltrane, che aveva già "rilavorato" tanti celebri classici americani (p. es. "My Favorite Things"), riesce naturale creare nuovi temi. In A Love Supreme si apre una porta verso il futuro, ma il cordone ombelicale non viene reciso. I veri Grandi esplorano nuovi territori senza mai distanziarsi dalla tradizione. (Fu il caso anche di Charlie Mingus e di Ornette Coleman.)
Sembra quasi impossibile che a "Trane" rimarranno appena due anni per assaporare il plauso venutogli con A Love Supreme. E ancora più arduo è pensare che fino all'ultimo non smise affatto con la "récherche"; anzi... Ascension e Interstellar Space (suo ultissimo album) sono due prodotti esemplari di free jazz; o forse un mix di musica atonale à la Darius Milhaud e di rock spaziale à la Sun Ra.



Il capitolo "Alabama"

Il 15 settembre 1963 a Birmingham, Alabama, un membro del Ku Klux Klan noto come "Dynamite Bob" depose dell'esplosivo dentro una chiesa frequentata da gente di colore. La detonazione uccise quattro ragazze (una di undici anni, tre di quattordici) e ferì molte altre persone. John Coltrane reagì componendo "Alabama", un pezzo che registrò il 18 novembre, due mesi dopo la terribile tragedia.


Le immagini che seguono sono tratte dal programma televisivo Jazz Casual, andato in onda il 1° novembre 1963. Si tratta possibilmente della prima esecuzione pubblica del toccante brano.
The John Coltrane Quartet: John Coltrane, McCoy Tyner, Jimmy Garrison, Elvin Jones.




Per tutti gli Anni Cinquanta Coltrane aveva inutilmente tentato di uscire dall'ombra di Sonny Rollins, un "collega-rivale" di quattro anni più giovane. Solo quando Rollins nel 1958 decise di ritirarsi, rimanendo lontano dalla scena musicale per diversi anni, a John Coltrane riuscì di profilarsi nel gruppo di Miles Davis come tenore-sassofonista.  
Kind of Blue (1959) aveva reso il jazz modale alquanto popolare. Coltrane sviluppò il concetto, che consisteva non più nel produrre una serie di accordi, ma di esprimersi con scale simili a quelle della musica indiana o della musica medievale. Aveva covato da tempo l'idea di suonare questa particolare suite che rappresenta una preghiera, ma solo nel dicembre 1964 riuscì a registrarla, grazie all'appoggio di musicisti d'eccezione con i quali riusciva a capirsi benissimo e sotto l'influenza del celebre discorso di Martin Luther King "I Have A Dream".




A Love Supreme sembra per lunghi tratti come una realizzazione musicale di quel discorso, che, anch'esso, è strutturato a mò di preghiera. Inoltre "Trane" voleva rielaborare in qualche modo il dolore per la scomparsa dell'amico Eric Dolphy, la cui morte gli aveva causato un vero shock, e la musica gli venne in soccorso.
Il giorno dopo la session originale in studio di registrazione, Coltrane suonò alcuni brani aggiuntivi con Archie Shepp (anche lui al sassofono tenore) e con il bassista Art Davis, ma queste tracce non vennero inserite nel disco e vennero alla luce solo nel 2002.



Che c'entra un'opera di jazz con il rock, chiedete voi? Presto detto: se si pensa che A Love Supreme funziona come un raga indiano, è facile arguire che quel disco era fortemente compatibile con l'estetica hippie. Da A Love Supreme a "Desolation Row" di Bob Dylan o alla musica di Jimi Hendrix e dei Grateful Dead (non estranea all'improvvisazione modale), il passo è breve. Occorre considerare inoltre che Carlos Santana e gli Allman Brothers (tra gli altri) sono stati esplicitamente ispirati da Coltrane.







Hiromi - Live in Marciac 2010

Hiromi Uehara, fantastica pianista.



01. I Got Rhythm 00:00 02. Sicilian Blue 11:10 03. BQE 21:45 04. Berne, Baby, Berne 30:52 05. Pachelbel's Canon 36:31 06. Choux a la Crème 46:05





Qui sotto, di nuovo Hiromi e di nuovo in "Sicilian Blue", stavolta con lo Stanley Clarke Trio (vedi post precedente).



domenica 7 giugno 2020

Stanley Clarke Band feat. Hiromi

... all'Heineken Jazzaldia 2010

Jazzaldia, Festival de Jazz de San Sebastián (España), 23 Jul 2010



Stanley Clarke - contrabbasso
Ruslan Sirota - tastiere
Ronald Bruner Jr. - percussioni
Hiromi - pianoforte



Stanley Clarke, nato nel 1951, è membro dei Return to Forever, una delle prime band di jazz fusion. Clarke ha fatto ascendere il contrabasso a un livello di rilevanza che, nel jazz, tale strumento non aveva mai raggiunto prima. Alcuni dei suoi album hanno venduto parecchio, fino a raggiungere lo stato di "disco d'oro".

Clarke vanta 15 candidature al Grammy, che ha vinto per cinque volte: tre come solista, una con la Stanley Clarke Band e una con i Return to Forever.


sabato 6 giugno 2020

Equinox (Coltrane)

Quant'è bello il jazz! Il Wonderjazz per la precisione, dato che abbiamo di nuovo a che fare con un grande brano tratto da un grande disco:


"Equinox"- traccia contenuta in Coltrane's Sound


℗ 1964 Atlantic Recording Corporation for the United States and WEA International Inc. for the world outside of the United States.




Drums: Elvin Jones
Tenor Saxophone: John Coltrane
Piano: McCoy Tyner
Bass Guitar: Steve Davis


Producer: Nesuhi Ertegun
Engineer: Tom Dowd

Writer: John Coltrane



Questo "jazz standard" deve il titolo a un suggerimento della moglie di Coltrane, Naima. Il sassofonista era nato il 23 settembre 1926, proprio in corrispondenza con l'equinozio autunnale di quell'anno...





 

... e su Faust's Look



***

Frank Martino - 'Ego Boost'

Novità jazzrock /fusion. Uscito l'album del chitarrista Frank Martino e dei suoi Disorgan



Ospite d'eccellenza:
Massimiliano Milesi al sassofono tenore

Disorgan sono:

Claudio Vignali alle tastiere (Fender Rhodes piano, Korg MS20)
Frank Martino chitarra elettrica 8 corde, live electronics
Niccolò Romanin percussioni





CD di Frank Martino su Amazon: link
Disorgan Trio: link


Frank Martino / Ylyne è su Facebook

     Ylyne, il progetto genuinamente elettronico di Frank Martino

     ... e ancora con i Disorgan