sabato 18 aprile 2020

"Doktor Goebbels Jazz Orchestra"

Queste pagine sono tratte da Doktor Wolf - Storia di Hitler e del nazismo, disponibile su Amazon Kindle.

La Seconda Guerra Mondiale fu condotta anche nell'etere. Il mezzo radiofonico sembrava fatto apposta per la propaganda all'estero. Joseph Goebbels, giusto a scopo di mistificazione e diffusione dell'ideologia bruna, inventò un "jazz del Reich". Consisteva in celebri brani jazz dal testo riveduto e corretto. Spesso le parole delle songs erano macabre: "Fronte rosso, fronte rosso, molto sangue sparso...". Di questo macchinario per le terre oltreconfine, costituito da un'emittente che trasmetteva prevalentemente in inglese, i comuni cittadini del Terzo Reich non sapevano nulla. A loro, anzi, veniva negato assolutamente di andare in escandescenze per lo swing degli americani.


Nella terminologia nazionalsocialista il jazz era "musica negro-americana". In Germania veniva permesso solamente un tipo di jazz moderato. Erano del tutto vietate le jazz sessions, espressione del vero e proprio "jazz negro". I musicisti all'avanguardia non ebbero vita facile. Molti, ebrei ("meticci di secondo grado"), furono trascinati nei campi di concentramento, dove venivano costretti a suonare. Quasi nessuno di loro sfuggì alla morte.
Nonostante le minacce e le repressioni, in Germania non mancarono comunque gli ammutinamenti. Una sera in cui il locale Delphi di Berlino (che nel 1943 era una metropoli di 4 milioni di abitanti) era pieno zeppo di soldati in licenza – perché feriti –, la band attaccò improvvisamente un genere di musica finora poco conosciuta dagli spettatori. Era un jazz negro. La gente smise di ballare e si accalcò sotto il palco, stregata. Col passare dei minuti il ritmo divenne indiavolato: un susseguirsi di note scoppiettanti, una delizia acustica che entrava nelle vene. L'esecuzione era straordinaria, soprattutto per quei giorni in cui ogni suonatore doveva adattarsi a strumenti che non gli erano congeniali (il trombettista, ad esempio, doveva sapersela cavare anche col trombone). Fu un trionfo. Ma il rischio corso era troppo grande e quella fu una delle poche "insurrezioni". Di solito i musicisti non superavano mai il livello di guardia: i censori stavano all'erta.
Goebbels si era accorto che il jazz piaceva agli avieri. Lui stesso non era sprovvisto del senso della musica e il fatto che possedesse anche un filino d'umore, seppure in maniera contorta, è avallato dal piacere evidente che ricavava dal Grande Dittatore, che vedeva e rivedeva in un cinema privato sbellicandosi dalle risa.


Convocò dunque un manipolo di jazzisti alla Haus des Rundfunks della capitale e, sotto vigilanza delle SS, fece eseguire alcune canzoni che venivano immediatamente irradiate verso il territorio nemico. La musica era quella degli americani, mentre il testo era un insieme di frasi che rifacevano il verso a Cole Porter e altre stelle yankee, distorcendo il significato originale. "Tu sei eccezionale, tu sei un aviatore tedesco..." Il canto era sempre in inglese.
L'ammirazione dei tedeschi per i britannici, per lingua, usi, caratteristiche, ha radici che affondano in tempi di gran pezza tramontati. Molti militari del Terzo Reich vivevano una sorta di sdoppiamento della personalità: da un lato c'era il loro apprezzamento per gli inglesi e dall'altra c'era l'amato Führer, il grande costruttore di autostrade. Quando l'aviazione tedesca bombardò Londra e altre città della Terra d'Albione, venne inaugurato un nuovo, truce capitolo negli annali della guerra aerea. La Germania avrebbe poi conosciute sulla propria pelle le tragiche implicazioni di quell'affronto: le bombe di marca tedesca tornarono al mittente in quantità molto ma molto maggiore. Abbiamo già detto di Dresda, ma anche altri luoghi conobbero l'inferno della vendetta. Su Berlino si abbatterono in una sola notte 900 tonnellate di bombe inglesi... Come dicevamo, gli aviatori tedeschi facevano il verso ai britannici in tutto; non solo coltivando gli stessi gusti musicali. Quando Parigi fu occupata, si videro piloti della Luftwaffe girare in Rolls Royce per le avenues; e al collo portavano sciarpe azzurre, alla maniera dei piloti d'Oltremanica. Che cosa pensarono, quando fu loro ordinato di attaccare l'inghilterra? Erano forse talmente imbottiti di droga da essersi resi scevri di ogni sentimentalismo?




Alla propaganda nazista a colpi di jazz si opponeva la psy war degli anglosassoni. Attraverso le loro trasmissioni per la Germania, gli Alleati perseguivano la speranza di potenziare la resistenza intestina contro il regime hitleriano. La scaletta comprendeva programmi divulgativi e news che fornivano agli oppositori di Hitler solidi controargomenti al nazionalsocialismo e li aiutava a non sentirsi da soli, arroccati su posizioni disperate. Nel suo diario, Anna Frank annotava (giugno 1943): "Quando si è demoralizzati, aiuta non poco la voce magica che arriva dall'etere, che sempre ci infonde coraggio e ci fa intendere: 'Mai lasciarsi andare! Verranno giorni migliori!'".
Fin dal primo giorno di guerra vigeva in Germania il divieto di sintonizzarsi su antenne straniere. Il castigo per i "delitti radiofonici" era severissimo: in alcuni casi fu applicata persino la pena capitale. In barba a ciò, molte persone vollero mettere a repentaglio la propria vita. La radio era rimasta l'ultimo legame con il mondo libero, l'unica opportunità di ascoltare opinioni e vedute differenti da quelle di Hitler e del suo Propagandaminister. Nel gergo degli iniziati, l'ascolto clandestino veniva detto "inalazione d'inglese": perché si origliava la voce di Radio Londra tenendo la testa sotto una coperta.



Radio Lussemburgo irradiava programmi in tedesco, redatti e parlati da tedeschi esiliati. E psy war era condotta anche dall'America, basandosi su uno schema semplice: venivano lette notizie autentiche, news vere, senza troppe spiegazioni e senza abbellimenti; gli ascoltatori avrebbero dovuto trarre da sé le conclusioni.
Era la stessa falsariga della BBC, l'emittente più seguita. I programmi di Radio Londra iniziavano con gli inconfondibili colpi di timpani: tre brevi e uno lungo, che riprendevano le prime battute della Quinta Sinfonia di Beethoven ("del Destino") e ricalcavano la lettera 'V' dell'alfabeto Morse – 'V' come "Victory". Una delle armi principali della guerra psicologica condotta dalle rive del Tamigi erano gli sketch satirici. Alcuni personaggi stereotipati (un astuto caporale, una casalinga irrispettosa, due politici da bettola berlinesi) divennero assai popolari, perché commentavano gli avvenimenti in corso facendo divertire l'audience. Per la BBC lavoravano numerosi tedeschi e austriaci.
Altre stazioni radiofoniche molto attive furono Radio Mosca e Germania Libera. Dai microfoni anti-Hitler risuonarono le voci di Thomas Mann («Ascoltatori tedeschi!»), del teologo Paul Tillich (che presentò un programma memorabile) e di Wilhelm Pieck, segretario del Partito Comunista Tedesco. Furono prodotte piccole commedie e canzoni politiche, venivano mandati messaggi di conforto ai soldati prigionieri e venivano lette le ultime novità dalla linea di fuoco.
Ma anche le trasmittenti naziste vibravano senza sosta. Furor teutonicus si fiondava oltre i confini del Reich. Vennero ingaggiati attori che padroneggiavano l'inglese per scenette che prendevano in giro gli uomini politici britannici. Un esempio: Churchill sta facendo il bagno quando un ministro tutto affannato si presenta al suo cospetto. «Signor Churchill, i tedeschi hanno decimato la nostra flotta!» E Churchill ribatte: «Beh, accidenti, porgimi un sigaro e una bottle of whisky».
Prigionieri di guerra erano spinti fin davanti ai microfoni goebbelsiani e costretti ad annunciare che stavano bene e che beneficiavano di un trattamento eccellente: «A good life». Tali programmi andavano in onda regolarmente ed erano seguiti dai parenti dei prigionieri in Europa e in America.
A cominciare dal'42 il governo di Roosvelt fu il bersaglio preferito della propaganda nazista. «Roosvelt è ebreo» veniva decretato. E il testo di una canzone jazz faceva così: "Gli ebrei hanno tutti i motivi per rallegrarsi, loro hanno un nuovo erede e capo: Mister Roosvelt Jones, che manda milizie nel Vecchio Continente per difendere la causa giudea".
Il gruppo di Charlie & His Orchestra suonava per il "Deutschen Kurzwellensender" (emittente a onde corte) in estemporanea. Charlie & His Orchestra era una big band con musicisti tedeschi e stranieri: ne facevano parte belgi, olandesi e italiani. Il "Charlie" che dava il nome all'ensemble era il cantante Karl Schwedler. Era soprannominato "Charlie" perché era stato negli Stati Uniti d'America. Era anche colui che scriveva le lyrics (spesso razziste) delle canzoni. Il più celebre dei membri fu però un altro Charlie: Charlie Tabor, suonatore di tromba il cui destino era di rimanere in attività fino a età inoltrata. Tabor avrebbe partecipato a molti film e programmi televisivi della Germania Occidentale (soprattutto nei decenni Cinquanta e Sessanta).



Questi musicisti in un primo tempo furono lieti che fosse loro consentito di suonare musica americana, guadagnando niente male. Nel '41, nel '42, molte delle migliori orchestre jazz europee si esibivano in locali esclusivi della capitale tedesca. Al Roswitha Bar primeggiava quella di Tullio Nobilia, formata da soli italiani. Ma Charlie & His Orchestra (con Nino Impallomeni alla tromba) offriva senza dubbio il jazz migliore. Anche al di fuori del palcoscenico, gli elementi armonizzavano perfettamente. Mario Balbo, sassofonista, era il buffone della compagnia, sempre predisposto agli scherzi. Una volta Charlie e consorti scesero a una stazione metropolitana ribattezzata "Piazza Adolf Hitler". Dopo aver guardato meglio, si accorsero che Platz non era scritto correttamente: qualcuno aveva aggiunto una 't', e la parola adesso era 'Platzt'. Il tutto si leggeva: "Scoppia Adolf Hitler". Autore di questo tiro mancino era stato... Balbo.
Quando cominciarono i bombardamenti su Berlino, trasmettere dal vivo risultò ostico. Ogni giorno si susseguivano fino a cinque allarmi. La metropoli fu presto una miriade di residui, schegge, rottami. Mentre la popolazione crepava, Charlie & His Orchestra dovevano cantare, cinicamente, Let's go bombing, sul motivo di Let's go slumming di Irving Berlin.
Parecchie città tedesche erano dissestate, le strade e i quartieri non più riconoscibili; tuttavia, nei cinegiornali, girati soprattutto per l'estero, si vedeva una Germania tranquilla e ricca: sfilate di moda con ragazze semisvestite, spettacoli mondani di vario genere, sequenze di benessere e signorilità accompagnate dalla voce allegrotta dello speaker. Per la maggior parte del tempo i musicisti se ne rimanevano in un bunker a giocare a scacchi e ad annoiarsi. Finché ognuno di loro non ricevette ua lettera di trasferimento. "Herr Impallomeni... trasferito a Breslau." Il termine "trasferito" (abkommandiert) suonava come un ordine. Nessuno poté dir di no: d'altronde, lavoravano per il ministero di Goebbels... anche se alcuni, fino a quel momento, sembravano averlo ignorato. Per la burocrazia nazista, i componenti di Charlie & His Orchestra occupavano lo stesso rango di soldati regolari.
Furono convogliati verso la Svevia, dove suonarono a Radio Stoccarda. Quando Badoglio, nel 1943, firmò il trattato di collaborazione con gli americani, il leader della big band assicurò ai musicisti italiani che non avrebbero rischiato rappresaglie da parte dei nazisti. «Nell'eventualità che qualcuno voglia crearvi seccature, potete sempre dire che lavorate per il Ministero della Propaganda.»
Swing e jazz continuarono a dilagare imperterriti. Dal 1939 alla fine della guerra, la 'Doktor Goebbels' Jazz Orchestra' (com'era altrimenti detta) non smise mai di eseguire in radio melodie già affermate su testi nuovi che avrebbero dovuto demotivare i nemici.
Il complesso rimase attivo anche dopo l'occupazione americana. A Ludwigsburg e in altre città del meridione tedesco, Charlie & His Orchestra, con un nuovo repertorio e alquanto rimaneggiati (alcuni suonatori se l'erano svignata dopo il tracollo della Germania), intrattennero i soldati occupanti. Nel giugno del '45 l'ensemble era ridotto a un quintetto. Due dei suoi elementi erano tedeschi (uno era Fritz "Freddie" Brocksieper, il batterista). I tedeschi venivano "coperti" dai loro compagni, due italiani e il pianista, olandese. Neanche quest'ultimo poteva certo lamentarsi, dato che in quel frangente postbellico, ad Amsterdam, più di 1.000 persone morivano d'indigenza. «Non vi preoccupate» dicevano ai due tedeschi. «Per quel che ci concerne, voi non siete tedeschi ma turchi
Come può un musicista giustificarsi per essersi messo al servizio di una dittatura? Ci riesce dicendo che vi è stato costretto. Spiega che i musicisti, per natura, si occupano puramente di musica e che la politica non li stuzzica. È quel che fecero i componenti di Charlie & His Orchestra. I componenti restanti, cioè. Che erano stati contenti che persino sotto la svastica fosse stato loro concesso di suonare, e suonare il genere per cui stravedevano. Grazie alla loro passione e alla loro abilità, avevano potuto evitare di combattere al fronte e avevano persino ricevuto un'ottima paga. Ora, con gli americani in casa, non gli continuava a mancare nulla: zucchero, caffè, carne e burro abbondavano, così come cigarettes e "occupation marks", le banconote stampate dagli Alleati.
Durante un'esibizione in un ristorante per militi U.S.A., un sergente si alzò e incitò, con la voce grossa del vincitore: «Let's go play!» Al che il trombettista improvvisò un assolo che scatenò l'entusiasmo dei soldati e degli altri astanti, i quali smisero di desinare per tributare una standing ovation. Il sergente manifestò la sua riconoscenza consegnando al suonatore il lasciapassare (la "denazificazione" era in pieno corso) insieme a 47 sterline.



Anche negli Anni Cinquanta e Sessanta i membri della vecchia Charlie & His Orchestra, singolarmente o militando in altre formazioni, raccolsero consensi.
Della big band ingaggiata da Goebbels non si hanno molti documenti sonori. Ma dalle rarissime registrazioni si ricava il senso di vigore, di forza esplosiva... una musica che purtroppo impallidisce di fronte ai testi di contenuto nazionalsocialistico.



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